Ducati 900 Super Sport

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    Personalmente credo che poche cose riescano a raggiungere il livello della bellezza meccanica racchiusa nelle linee della Ducati 900 Super Sport prodotta dal 1975 al 1982, una moto la cui storia industriale e sportiva racchiude un esempio perfetto di come talento, forza di volontà e un pizzico di fortuna consentano di arrivare davanti a chi, per mezzi e possibilità, parte favorito.
    Al momento dell'uscita della 900 SS, la Ducati era sull'orlo della chiusura, con la maggior parte della fabbrica di Borgo Panigale utilizzata principalmente per produrre motori diesel.
    Siamo nel pieno del suo passaggio sotto il controllo dello Stato italiano tramite l'Efim, che poi la cederà alla VM Motori (altra società sotto controllo statale tramite Finmeccanica) che si occupava, appunto, di motori diesel industriali e automobilistici.
    Nel frattempo aumentavano le difficoltà sul mercato, in particolare quello statunitense, per il grande successo delle case giapponesi, delle loro superbikes e dei grandi margini di guadagno consentiti da questo segmento: su tutte la Z1 della Kawasaki.
    Il primo colpo di genio è quello dell'Ing. Taglioni, che con il bicilindrico a L e la distribuzione desmodromica abbinati a un motore di 750 cm³ leggero, potente e sottile, “inventa” anzitutto il miracolo della 750 Super Sport, con cui Paul Smart e Bruno Spaggiari realizzano una fantastica doppietta alla prima edizione della 200 miglia di Imola, riservata alle maxi-moto derivate di serie.
    Purtroppo, la Ducati è priva delle risorse necessarie per sfruttare l'enorme eco pubblicitario che segue alla vittoria e l'impresa continua a barcollare lungo il bordo della crisi finanziaria.
    Arriva, come detto, il controllo dello Stato, incredibilmente le moto non sono più una priorità e si cominciano a produrre motori diesel, che finiranno anche sulle Alfa Romeo.
    Taglioni continua, comunque, a sfruttare al meglio le scarse risorse a sua disposizione e, chiamato a risolvere il problema del confronto con le più potenti giapponesi, fa nascere la 900 Super Sport.

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    Le sovrastrutture sono quelle della 750 SS, ma il motore raffreddato ad aria e dai caratteristici carter quadri viene ripreso dalla 860 GT (che non ha riscosso molto successo ed è una sorta di figlio storto della produzione Ducati anni '70), modificato nella testata che è desmodromica e con l'avviamento a kickstarter.

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    C'è, ora, una potenza di 80 cv a 7000 giri per una velocità massima di 225 km/h e un'accelerazione sui 400 metri da fermo di 12,3 secondi. Non sono i dati di una Kawasaki Z1, che è più veloce e ha un'accelerazione migliore, ma sono certo più vicini di quelli della 750.
    La ciclistica è composta da un telaio tubolare a doppia culla aperta, forcella Marzocchi all'anteriore e degli eccellenti freni a disco della Brembo.

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    Taglioni, inoltre, ha insistito per avere un interasse notevole e un grande cupolino. Il risultato è una moto ultra-stabile, in particolare nelle curve veloci, accogliente per il pilota, ma che costringe a una guida muscolare e, di certo, inadatta a percorsi o circuiti con curve strette.

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    Di contro la qualità dell'assemblaggio non è delle migliori e l'impianto elettrico è proprio pessimo.
    Insomma, considerato quello che il mercato poteva offrire, solo un vero appassionato si sarebbe potuto avvicinare a una moto del genere.
    La Ducati 900 SS diviene, appunto, un oggetto di culto e la sua bellezza finisce per attrarre un giovane regista americano, David Cronenberg che nel 1976 scrive e dirige un episodio, tanto bello quanto eccentrico, per una serie tv canadese. L'episodio si intitola “The Italian Machine” e ha come protagonista principale … la Ducati 900 Super Sport.
    La parte iniziale della trama rende l'idea di quanto Cronenberg fosse rimasto colpito dalla moto italiana: “Quando l'appassionato di motociclette Lionel scopre dall'odiato rivenditore Reinhardt che questi ha venduto una rara Ducati 900 Desmo Supersport al collezionista d'arte Mouette, che intende conservarla come un oggetto d'arte fra tanti invece di utilizzarla, decide di "liberarla". Con gli amici Fred e Bug, Lionel si finge inviato della rivista d'arte Tecno Art e riesce a farsi accogliere in casa da Mouette, dove trova insopportabile la vista di quella splendida moto italiana condannata all'immobilità in un salotto, con il suo potente motore a far la ruggine …”.
    È altrettanto curioso notare come il corto si apra, in modo quasi profetico verrebbe da dire, con il personaggio di Lionel che ascolta una registrazione su vinile di una radiocronaca del Tourist Trophy del 1958.



    Nonostante questo tipo di fascinazione le vendite della 900 SS non vanno benissimo. Ci sarebbe stato bisogno di un'enorme copertura pubblicitaria, ma a costo zero però, perché la Ducati è letteralmente senza un soldo e la gestione statale ha imposto lo stop a ogni impegno agonistico.
    Ricapitolando: il motore era meno potente del Kawasaki, il passo della moto era tendenzialmente inadatto alla maggior parte dei circuiti di gara e, in ogni caso, non c'era una lira per creare una squadra corse o fornire supporto a team sportivi, ovvero la migliore pubblicità per una superbike.
    Come può un simile mix di inadeguatezze trasformarsi in una storia di successo?
    Per una serie di capricci del destino, quella fortuna che secondo Shakespeare “sa far entrar in porto anche le navi senza timoniere” e allora figuriamoci quando il timoniere c'è ...
    La 900 SS è perfetta per il Turist Trophy dell'Isola di Man e i suoi oltre 60 km di strade pubbliche da percorrere ad alta velocità. C'è forse un posto migliore dove far correre una moto da corsa ultra-stabile e con una gran coppia?
    Steve Wynne, proprietario della Sports Motor Cycles di Manchester, concessionario e importatore Ducati per la Gran Bretagna nonché ottimo preparatore di moto, aveva conosciuto Mike Hailwood al GP di Silverstone del 1977.
    Si trattava dell'incontro tra due uomini ugualmente delusi, sebbene per motivi diversi.
    Per il boicottaggio guidato da Giacomo Agostini il TT era stato eliminato dal calendario dei Gran Premi. L'ente governativo britannico per lo sport motociclistico, l'Auto-Cycle Union, aveva avuto, però, un'ottima idea: la Formula TT. Rombanti moto da corsa con massima libertà di elaborazione per telaio e sospensioni, ma motori molto simili alle loro controparti stradali con tre Formule (1, 2 e 3) in cui si confrontavano moto a 2 e 4 tempi divise per cilindrata. Fu un tale successo che divenne nel 1984 una serie mondiale di otto gare e fornì l'ispirazione di base per il Mondiale Superbike.
    Nel suo primo anno, il 1977, Wynne con un suo team e con una Ducati preparata NCR – Nepoti Caracchi Racings, preparatore e società indipendente divenuta di fatto una squadra corse Ducati esterna – era arrivato a un passo dal vincere con il suo pilota Roger Nicholls la corsa della Formula 1 (moto a 4 tempi da 600 a 1000 cm³ contro moto a 2 tempi da 350 a 500 cm³), quando questa era stata interrotta al quarto giro a causa delle condizioni atmosferiche.
    In realtà il tempo era migliorato dall'inizio della gara, ma gli uomini della Honda, temendo che la loro moto non fosse in grado di arrivare alla bandiera a scacchi, avevano iniziato a fare pressioni sui commissari dell'A.C.U. per interromperla.
    Gli organizzatori avevano deciso per la bandiera rossa alla fine del quarto giro e nessuno si era premurato di comunicarlo a chi in quel momento era in testa.
    Così, mentre il team di Wynne eseguiva un pit stop accurato e completo basato su altri tre giri di gara, la Honda aveva tenuto in pista Phil Read sapendo che la gara sarebbe finita al termine del giro successivo e Read aveva vinto tra le polemiche.

    Hailwood, invece, aveva chiesto alla Honda un posto come pilota per la stagione 1978 e si era sentito rispondere che a 38 anni era troppo vecchio per gareggiare ai massimi livelli in moto. Non esattamente la risposta che poteva aspettarsi un campione del mondo ed ex pilota ufficiale che, dopo il ritiro di Honda dai Gran Premi nel 1968, aveva scelto di proseguire la sua carriera nell'automobilismo.
    Steve Wynne sentiva di essere stato ingannato, mentre Mike Hailwood si sentiva profondamente offeso e la loro voglia di rivincita nei confronti della Honda era grande.

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    Steve Wynne insieme a Mike The Bike



    Dopo il loro incontro a Silverstone e dopo aver provato ed apprezzato una Ducati preparata da Wynne, Hailwood accetta di guidare per Sports Motor Cycles con un compenso stagionale di 1.000 sterline. Anzi, inizialmente si offre di guidare gratis e in modo anonimo sotto il nome di battaglia di "Edgar Jessop". Solo quando l'amico e manager Ted McCauley lo convince a fare un ritorno pubblico, tra Mike the Bike e Sports Motor Cycles viene “formalizzato” un contratto, che viene scritto direttamente da Wynne su di un singolo foglio di carta e per quella cifra chiaramente simbolica.

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    Per capirsi, l'anno successivo e dopo i fatti di cui stiamo parlando i senza vergogna di Honda proporranno a Wynne di acquistare il contratto per cento volte tanto, ricevendo risposta negativa: Mike Hailwood correrà per Suzuki.
    Steve Wynne ordina tre 900 Super Sport alla Ducati, che fanno parte di un piccolo lotto preparato per le gare di durata, modificate e montate dalla NCR, che utilizzano un telaio speciale che pesa solo 11 kg. e che consente l'installazione di un diverso sistema di scarico. Ulteriori modifiche vengono realizzate da Wynne a pistoni, valvole, frizione e al cambio, perché quello originale è noto per la sua fragilità e perché c'è da spostarlo da destra a sinistra, non potendo più Hailwood usare il piede destro per cambiare, dopo l'incidente al Nürburgring nel 1974.

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    Agli occhi di tutti Hailwood parte sfavorito su di un mezzo secondo molti pericoloso e, comunque, a corto di cavalli contro le Honda ufficiali, in particolare quella guidata da Phil Read, costruite appositamente per vincere il Campionato del Tourist Trophy.
    Lui stesso, in realtà, aveva mantenuto con la stampa e gli avversari un profilo basso, al punto di chiedere a Mick Grant, forse il pilota migliore su quelle strade nel 1978, di fargli da traino per un giro, per rinfrescargli la memoria: “Fu come se Dio mi avesse chiesto di spiegargli la Bibbia!”, dirà poi Grant.
    Ma le doti della Ducati e le immense capacità di Hailwood, che appare oltretutto in ottima forma fisica, escono già in prova, dove spunta un ottimo tempo, vicino al record sul giro.
    Il giorno della gara Hailwood parte con il #12, 50 secondi dopo Read con l'#1, e con in mente un piano chiaro: andare a prendere il diretto avversario sulla strada, ancor prima che sul tabellone dei tempi.
    Guida come se la moto gli fosse stata cucita addosso su misura.

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    Alla fine del 2° giro lo raggiunge e i due cominciano un duello, nel corso del quale il pilota Honda, per cercare di reggere il passo, distrugge il motore e, dopo un paio di sbandate per l'olio che è finito sulla posteriore, non può fare altro che fermarsi.
    Peraltro anche il motore della moto di Hailwood si rompe sulla linea del traguardo, nel momento in cui Mike rilascia la manopola dell'acceleratore dopo l'arrivo. Per questo motivo non può essere sottoposto al controllo post-gara della rumorosità dello scarico, una verifica che lo stesso Wynne dubitava di superare.
    In un giorno di giugno Hailwood è riuscito in ciò che sembrava impossibile, vince la corsa davanti a 300.000 persone in delirio. Una settimana dopo si ripete a Mallory Park e vince anche il titolo del primo Campionato Mondiale del Tourist Trophy.



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    Dopo la vittoria il mondo intero, e non solo la stampa specializzata, viene colpito dalla Hailwoodmania e così la Ducati decide di provare a liberarsi di alcune delle scorte invendute della 900 SS, con un rapido lavoro di verniciatura replicando la livrea Castrol bianca rossa e verde della moto di Hailwood e con un nuovo serbatoio in acciaio omologato per la strada.
    Le prime 200 repliche realizzate in questa maniera vengono vendute prima che la vernice si asciughi e, quindi, la Ducati presenta una vera e propria race replica, la 900 MHR (Mike Hailwood Replica), che rilancia la produzione e tra il 1979 e il 1986 viene venduta in poco più di 7000 esemplari.

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    A queste debbono aggiungersi le molte altre che vengono convertite privatamente, la qual cosa spiega come mai ci siano così poche 900 Super Sport originali in circolazione oggi.
    La 900 Super Sport diviene, quindi, negli anni l'oggetto di un culto ancora più febbrile e, parallelamente, di una speculazione esasperata, che spinge i prezzi di acquisto sino alla soglia dei 40.000 euro.
    Per chi ha un cuore che batte al ritmo del bicilindrico desmodromico – e un portafogli capiente – si tratta di cifre accettabili per ascoltare questa sinfonia



    Edited by dinosilenzi - 9/8/2018, 15:15
     
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