La Scuderia Ferrari degli anni '50 nei ricordi di Romolo Tavoni

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    Romolo Tavoni, nato a Casinalbo (MO) il 1926, è stato dirigente Ferrari dal 1950 al 1961, in particolare prima segretario del Drake e quindi Direttore Sportivo della Squadra Corse dal 1957 al 1961.

    01_-_Romolo_Tavoni


    02_-_Enzo_Ferrari_e_Romolo_Tavoni


    02_bis_-_Romolo_Tavoni_e_Mike_Hathorn



    Gli anni '50 sono per Ferrari anni formidabili, nei quali si raccolgono i primi trionfi, pieni di esultanze ma anche di drammi, gioie terribili che segnano in modo indelebile la storia del motorsport.
    Quelle che leggerete di seguito sono, quindi, le parole di uno dei suoi più importanti collaboratori nel decennio in cui si è costruito il mito Ferrari e raccontano quello che ogni impresa degna di questo nome costringe gli uomini ad affrontare: le difficoltà.

    03_-_Enzo_Ferrari_nel_suo_studio




    In merito agli ingaggi e ai premi di partenza, Ferrari mi ha raccontato che con le corse non ha mai perso soldi, ma questo era vero quando ormai si era affermato.
    Prima, aveva sempre detto che invece le corse gli costavano moltissimo. Ferrari aveva un suo sistema per trattare gli ingaggi, una specie di segreto che ho scoperto andando alla Ferrari all’inizio del 1950 e dovendo scrivere agli organizzatori la lettera che mi dettava.
    In sintesi, la lettera diceva: “Gradiremmo ricevere il regolamento della vostra gara perché ne vorremmo tenere conto nel caso le nostre macchine fossero pronte e potessimo parteciparvi”.
    Quello era il primo contatto, poi si cominciava a trattare l’ingaggio per una vettura sola chiedendo 2 milioni di lire a scendere. Ricevuta l’approvazione per una vettura, diceva “due” perché: “Mi viene pronta la seconda macchina”, poi, magari, ne aggiungeva una all’ultimo momento a trattativa ancora aperta. Alla fine le Ferrari potevano diventare tre.
    Ma c’era una spiegazione molto semplice, che ho capito quando ho cominciato ad andare in giro per la Ferrari. Il 50% dei premi di partenza e il 50% dei premi di classifica servivano a spesare la preparazione delle vetture nel reparto Gestione Esperienza Sportiva, cioè il reparto corse che era all’origine dell’azienda. Dei premi per la seconda macchina, il 50% doveva coprire le spese di trasferta. Per la terza macchina, la metà del premio di partenza era destinato alla preparazione di tutte le vetture per la gara successiva. Ecco perché Ferrari diceva che ci perdeva l’anima ma, in realtà, riusciva a pareggiare entrate e uscite dalle gare.

    04_7



    Un tipico dialogo con Ferrari sull’argomento premi di partenza potrebbe essere questo, di cui non ricordo l’occasione specifica, ma non è importante perché, più o meno, era sempre così: “Tavoni, ci hanno garantito per due macchine un milione e mezzo di premio di partenza, per la terza macchina solo un milione. Tu devi andare là e farti dare l’altro mezzo milione. Lo dici a nome mio perché se non ti danno il mezzo milione anche per quella, carichi tutte le macchine e vieni a casa”.
    Altra chiamata al momento della partenza: “E ricorda bene, mi devi telefonare per il mezzo milione della terza macchina che non hanno confermato”.
    “Commendatore, ma se gli organizzatori le hanno detto che questo era il massimo che potevano fare, che non era prevista la terza macchina, che se lei non la manda va bene lo stesso e la ringraziano per le due: sarà difficile per me”.
    E lui, alzando la voce non per cattiveria, ma perché era il suo modo di esprimersi: “Tu ci devi riuscire perché tu parli per me”.
    “Sì, ma commendatore, io non posso mica tenere il suo atteggiamento, io sono magro come uno stuzzicadenti, sono piccolo, vado là e cercherò di spiegare le nostre ragioni”.
    I premi servivano anche per nuove sperimentazioni, nuove attività, nuove ricerche. Dopo la vittoria di Gonzalez a Silverstone nel 1951 (British Grand Prix 14 luglio) Ferrari aveva cominciato a chiedere un contributo finanziario ai produttori di accessori.

    05_-_Gonzalez_vittorio_a_Silverstone



    Aldo Daccò, importatore delle candele Champion in Italia, fu il primo che diede un contributo legato al primo, secondo e terzo posto. Dopo la Champion, Ferrari trattò e ottenne contributi, sempre legati ai primi tre posti in classifica, da Shell e Pirelli.
    Quando riceveva il calendario annuale delle corse, che chiedeva il più presto possibile, Ferrari tirava giù una riga sotto al Gran Premio d’Italia. Voleva dire che con quella gara finiva la stagione, a meno che non ci fosse un campionato ancora in ballo.
    Se in cassa c’erano soldi, li spendeva per migliorare le macchine che avrebbe impiegato l’anno dopo. Se non ce n’erano si finiva proprio con Monza solo se l’Automobil Club di Milano metteva un po’ più soldi per la partecipazione al Gran Premio d’Italia.

    06_-_GP_Monza_1954



    Nei due anni, 1954 e 1955, del dominio Mercedes, Ferrari aveva il coraggio di dire: “Io vengo e se volete battermi dovete darmi più soldi perché altrimenti voi fareste la gara con due o tre macchine soltanto e non avreste lo spettacolo. Lo spettacolo lo faccio io venendo a farmi battere, quindi mi dovete pagare di più”.
    La programmazione di quegli anni prevedeva sempre tre vetture Sport con sei piloti, che dovevano anche correre in F1 più volte all’anno. Tra le principali gare si sceglieva il Giro di Sicilia per favorire i clienti assistiti. Invece, alla Targa Florio e alla gara Sport di Monza bisognava partecipare direttamente. La Coppa Intereuropa a Monza era un altro impegno prioritario perché era qualificante per i clienti e per le GT che poteva vendere.
    L’impegno maggiore era comunque riservato alle F1 che allora avevano un telaio robusto che potesse portare un motore pesante con un cambio di dimensioni quali oggi si potrebbero trovare in un grande Tir e con ingranaggi frontali che, a forza di usare il cambio, rompevano le mani ai piloti.
    Allora, il facente funzione direttore sportivo, perché il direttore sportivo della Ferrari è sempre stato Enzo Ferrari, faceva da tramite tra pilota e Ferrari. E quando, alla fine delle prove, il pilota mi diceva: “Oggi ti posso dire che quel motore che m’avete messo sulla macchina non l’avete neanche sognato la volta scorsa”, io gli rispondevo: “Se dici una cosa così e magari la sente Enrico Benzing e la scrive, tu perdi la possibilità di continuare a fare il tuo lavoro perché se vuoi che la Ferrari si impegni a fare qualcosa di più gli devi dire: Commendatore, noi stiamo andando bene, ma la concorrenza è leggermente avanti, se potessimo fare qualche cosa di più li batteremmo”.

    07_-_Monza_1953_Enzo_Ferrari_e_Mike_Hawthorn



    Non è che Ferrari non amasse i suoi piloti: era un innamoramento su base settimanale, a seconda di chi vinceva. Se la squadra di F1 era di tre piloti, ne portava solo uno a pranzo, anche se erano tutti e tre presenti, dicendo: “Voglio parlare di un’altra cosa, venga con me a pranzo”. Gli altri due rimanevano lì ed era imbarazzante, ma lo faceva, direi, quasi apposta.
    Ricordo che, dopo la prima vittoria a Silverstone, Gonzalez gli ha detto: “Commendatore, se lei mi chiede come ho fatto a vincere non lo so. So solo che in tre curve, quando alla fine ero rimasto senza freni, ho parlato sempre con San Pietro”.
    Ferrari ha risposto: “Però San Pietro non stava guidando la macchina, quindi tu devi dire che la macchina andava bene, che era una Ferrari e che aveva tutto il necessario per vincere”.
    Un altro esempio: dopo non so più quale gara c’erano da distribuire i premi accessori tra Ascari e Villoresi. Ad Ascari diede tutti e otto i premi accessori che gli spettavano, a Villoresi ne diede quattro. Se, per ipotesi, qualcuno gli avesse chiesto il perché di questa differenza, avrebbe risposto: “Perché non è Ascari”. La frase non sarebbe certo risultata gradevole all’interessato, ma questo era l’uomo.

    08_-_Monaco_1950_Ascari_e_Villoresi



    Nella telefonata dopo ogni corsa, la prima domanda che mi faceva era sempre: “Hai avuto i soldi o hai trovato l’accordo?”. La seconda era: “Come sono andate le vetture?”. La terza domanda, se mi capitava di dover dire: “è arrivato lungo, è uscito di strada”: “Che cos’ha la vettura?”.
    Si potrebbe pensare che Ferrari fosse un uomo insensibile. Non è vero, non è vero. Era solo che il pilota di turno guidava la macchina che avrebbe voluto guidare lui perché lui ha sempre detto: “Io sono stato pilota, sono stato direttore generale quando la Scuderia Ferrari si è trasferita a Modena: io ho le macchine, io le costruisco, do il meglio che ho. Vorrei che le guidassero come le guidavo io”.
    Questo atteggiamento di insoddisfazione latente nel rapporto con il pilota nasceva soltanto dal suo piccolo egoismo di sentirsi vincitore quando il pilota vinceva, quando gli portava il risultato. In questi casi, nel pilota rivedeva se stesso e trovava la proiezione ulteriore per andare oltre perché lui con le corse ha costruito un’azienda.
    (Tratto da "Come non ci fosse un domani. Stile di corsa e di vita degli anni cinquanta", volume monografico AISA - Associazione Italiana per la Storia dell'Automobile)

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  2. Peppe Cali
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    Grazie Dino!
     
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    Grazie a te Peppe!
     
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2 replies since 29/12/2018, 13:55   289 views
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